Il 6 agosto, in occasione del mio compleanno, mi sono fatta un regalo. Niente borse né scarpe firmate, niente gioielli né chincaglierie varie, ma un bel libro: LE VIAGGIATRICI DEL GRAND TOUR. Storie, amori, avventure. Edito da il Mulino, il saggio è stato scritto da Attilio Brilli, un grande esperto di letteratura di viaggio. Dapprima sono rimasta catturata dalla copertina, che raffigura una giovane donna dallo sguardo altero e vestita in abiti settecenteschi. Subito dopo mi ha colpito il titolo. Infatti, quando si parla di Grand Tour, il consueto viaggio di formazione svolto in Europa tra Settecento e Ottocento dalle classi sociali più agiate, di solito lo si associa a figure maschili. I diari di viaggio più noti sono stati scritti da uomini: Sterne, Goethe, Stendhal… ma anche le donne hanno dato il loro apporto, spesso risultando più originali e acute dei loro colleghi maschi.
La lettura è stata scorrevole e soddisfacente. Ho scoperto tante cose nuove. Ad esempio, cosa non poteva mancare nel corredo di una viaggiatrice? Il chapeau cabriolet, un particolare cappello a cuffia; il bâton de voyage, un bastone per aiutarsi nelle camminate, e il furgon, un grande mobile in cui stipare tutto l’occorrente. Va da sé che le granturiste di cui il libro tratta facevano parte della nobiltà e della buona borghesia, ovvero dei ceti che potevano economicamente permettersi di restare in girula per tutta l’Europa anche per mesi o per anni.
Granturiste a Torino
Durante i loro itinerari, queste viaggiatrici erano solite compilare un journal, un diario in cui descrivevano ciò che vedevano e visitavano. Scrivevano le loro impressioni sui popoli, i costumi e le situazioni politiche dei paesi in cui soggiornavano. Al ritorno in patria, questi testi venivano pubblicati e fungevano un po’ da guide turistiche per i connazionali, anche perché di solito riportavano consigli pratici sugli spostamenti e le soste. Le viaggiatrici del Gran Tour erano dirette verso le città d’arte più importanti come Venezia, Firenze e Roma, ma non solo. Molte di loro si sono fermate anche a Torino! Usando come traccia il libro di Attilio Brilli, vi elenco alcune viaggiatrici che hanno parlato di Torino nei loro diari e lettere.
Anne-Marie Le Page Fiquet du Boccage (1710-1802)
Madame du Boccage intraprese il suo viaggio alla metà del XVIII secolo e il suo journal, redatto in francese e in forma epistolare, fu pubblicato nel 1771. Anne -Marie scrisse di Torino soltanto nella lettera del 25 aprile 1757. Partendo da Parigi, vi arrivò passando dal Moncenisio e da Rivoli e fu accolta in città dall’ambasciatore francese Germain-Louis Chauvelin, che le gettò nella carrozza un sonetto composto in suo onore da Voltaire. Madame du Boccage visitò Palazzo Reale, trovandolo tanto spoglio all’esterno quanto fastoso all’interno. Ammirò in particolar modo I quattro elementi dipinti da Francesco Albani (oggi alla Galleria Sabauda) e La donna idropica di Gerrit Dou (oggi, purtroppo, al Louvre). Trovò degni di nota la facciata di Palazzo Chiablese, il Teatro Regio e il cortile dell’Università, sottolineando come il sovrano (Carlo Emanuele III) ce la mettesse tutta per promuovere le belle arti.
Anna Riggs Miller (1741-1781)
Lady Miller, nobildonna inglese, intraprese il suo Grand Tour nel 1770, arrivando in Piemonte in ottobre, anche lei transitando per il Moncenisio. Passò per la Novalesa e Susa. Infine, per la Sacra di San Michele e Rivoli. Entrando in città, la donna rimase ben impressionata dalle fortificazioni, che le sembrarono solide e adeguatamente sorvegliate. Si trattenne per vari giorni, visitando i Giardini Reali, il Palazzo Reale, la Biblioteca e il Teatro. Notò come non si badasse a spese: “specchi a profusione, dorature, sete lionesi e velluti a ricoprire le pareti, pavimenti di legni intarsiati”. Interessante è la descrizione della Galleria del Daniel, che attualmente ospita l’Armeria Reale (inaugurata nel 1837), ma che all’epoca esponeva la collezione di dipinti del sovrano. Lady Miller elencò per pagine e pagine le opere presenti nella galleria e anche nelle altre sale e sottolineò la presenza di un paio di stanze, tenute chiuse per volontà del re a causa della presenza di quadri la cui vista avrebbe potuto nuocere ai giovani… Anne osservò come, da giovani, i re di Sardegna fossero dissoluti ma, da anziani, diventassero devoti e tormentassero famiglia e corte con l’etichetta. Carlo Emanuele III fece addirittura ritagliare una Venere di Guido Reni, gettando nel fuoco la parte con raffigurate le nudità della dea.
Lady Miller non mancò di visitare anche le chiese più importanti, dalla Cappella della Sindone alla Basilica di Superga, e le residenze sabaude. Trovò le strade di Torino piacevolmente dritte, le facciate dei palazzi uniformi e comodi i portici. Gentili i torinesi, le donne belle e con la pelle bianchissima. Il diario di questa viaggiatrice dedica ancora moltissime altre righe a Torino. Se volete leggerlo, lo trovate online, ma -occhio!- è in inglese.
Hester Lynch Thrale Piozzi (1741-1821)
La gallese Hester Lynch, sposata in seconde nozze con il musicista italiano Gabriele Piozzi, partì per il suo viaggio nel 1784. Per arrivare a Torino, fece il medesimo tragitto delle due granturiste già citate. In particolare, sia Hester che Lady Miller non rimasero affatto colpite da Susa, che ritennero un paese senza alcun tipo di attrattiva, eccettuato l’arco di Augusto. Per contro, tutte e tre le donne descrissero con piacere il vialone alberato che da Rivoli conduceva all’ingresso di Torino. Una città, scrisse Hester Piozzi, “modello di eleganza”: a forma di stella, con al centro una piazza (Piazza Castello) da cui partono le strade principali, che terminano con la bella veduta della campagna circostante. La viaggiatrice si dimostrò entusiasta della capitale sabauda (“lovely, charming town“), con i suoi portici e un Palazzo Reale invidiabile. Ma il motivo per cui si fermò a Torino, fu l’incontro con il botanico Carlo Ludovico Allioni, il Linneo Piemontese. Hester volle visionare la sua raccolta di fossili e discutere con lui della sua opera più importante, la Flora Pedemontana, che sarebbe stata pubblicata nel 1785 con la descrizione di 2.831 specie di piante del territorio piemontese.
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