Quando si va a Roma, non si manca mai di andare ad ammirare la Fontana di Trevi. È uno dei monumenti più affollati della capitale. Recentemente la fontana è stata restaurata, perciò è ancora più bella e il candore del marmo con cui è stata realizzata è davvero abbacinante. Tutti i turisti le si accalcano davanti per scattare una fotografia o, come vuole la tradizione, per buttare una monetina nell’acqua. Tutti, tranne la Civetta. Sono stata tre volte a Roma, l’ultima a gennaio 2020. E ogni volta, prima di dedicarmi alla fontana, ho scavallato (seguita ovviamente dal rassegnato Principe Consorte) le orde di turisti per dirigermi verso la chiesa dei santi Vincenzo e Anastasio, che si affaccia sull’angolo di piazza di Trevi. Le prime due volte non sono potuta entrare a causa dei lavori di restauro, ma la terza volta è stata quella buona. Perché mai ci tenevo tanto a svolazzare dentro a questa chiesa? So che siete in ambasce, perché non desiderate altro che conoscere il motivo… e io vi accontento subito! Per la tomba della figlia della “Dama Velata”.
La chiesa dei santi Vincenzo e Anastasio a Roma, dalle viscere dei papi alla tomba della figlia della Dama Velata
Costruita nella prima metà del Seicento come parrocchia del Quirinale, la chiesa dei santi Vincenzo e Anastasio è conosciuta dai romani con il soprannome di canneto, per la presenza sulla sua facciata di ben 18 colonne. Inoltre, è un edificio legato al famigerato cardinale Mazzarino, il quale fece posizionare sulla facciata le sue insegne e, stranamente, anche il busto di una laica, Maria Mancini. Maria era una delle cosiddette Mazarinettes (nomignolo con cui erano conosciute le intraprendenti e numerose nipoti del cardinale). Una delle sorelle di Maria fu la discussa Olimpia, la madre del principe Eugenio di Savoia-Soissons coinvolta a Versailles nel torbido Affare dei Veleni. A parte ciò, la chiesa custodisce un paio di eccellenti curiosità funerarie. Qui, dentro urne di porfido posizionate in una cappella sotterranea, si conservano le frattaje, ovvero le viscere dei papi, da Sisto V (+ 1590) a Leone XIII (+1903). Le frattaje venivano estratte dal corpo per consentire una migliore imbalsamazione. Questa usanza fu poi abolita da Pio X (+ 1914). Inoltre, nella chiesa si cela anche il mistero del corpo scomparso di Bartolomeo Pinelli (1781-1835). Una lapide ricorda la sepoltura del pittore nella chiesa, ma né la tomba né il corpo imbalsamato sono stati mai rintracciati!
Ma, come ho accennato sopra, non erano questi i motivi per cui intendevo varcare il portone della chiesa! Volevo vedere la tomba della figlia della “Dama Velata”.
La tomba della figlia della Dama Velata
Nella chiesa dei santi Vincenzo e Anastasio vi sono varie tombe e una di esse è collegata a un personaggio molto noto a Torino: la principessa Barbara, moglie di Aleksandr Beloselskij, l’ambasciatore russo a Torino alla fine del ‘700. Di lei vi ho raccontato nell’articolo “Barbara Beloselskaja e la Dama Velata” e nel libro “Torino silenziosa”. Nella chiesa romana, nella prima cappella a destra, sono posizionate le spoglie di due delle tre figlie di Barbara: Zinaida e Maria. Di Maria poco so dirvi, a parte che si sposò con tale Aleksandr Vlasov. Riguardo a Zinaida, invece, ci sono più notizie, perché fu un’intellettuale riconosciuta e stimata al suo tempo. Nacque a Dresda nel 1789. Poco dopo, la famiglia si trasferì a Torino e qui, nel 1792, morì la madre Barbara, non ancora trentenne. Il principe Beloselskij fece realizzare per l’amata moglie un meraviglioso monumento funebre, del quale oggi resta soltanto una statua allegorica, rappresentante la Fede, che possiamo ammirare presso la GAM di Torino. Qui sotto potete vedere un ritratto di famiglia realizzato nel 1790.
Zinaida Volkonskaja, “regina delle muse e di beltà”
Dopo la morte del padre (1809), Zinaida si sposò con il principe Nikita Volkonskij, aiutante di campo dello zar Alessandro I. Nel 1811 nacque Aleksandr. La famigliola girò un po’ per l’Europa: Dresda, Praga, Londra, Parigi, Vienna. Nel 1817 si trasferì in Russia, per stabilirsi nel 1820 a Roma. Nella residenza romana di Zinaida e Nikita, Palazzo Poli, e nella villa di Frascati si tenevano i “circoli russi”, salotti in cui artisti, musicisti e letterati si riunivano per conversare e fare Arte. Zinaida era il fulcro di questi ritrovi. Lei stessa era un’apprezzata cantante, attrice e scrittrice. Si diceva: “Possiede un innato amore per l’Arte”. Lo zar, però, non apprezzava queste sue inclinazioni: “Mi rammarico del tempo che dissipate in occupazioni assai poco degne del vostro lignaggio”. Nel 1822 Zinaida rientrò in Russia e visse alcuni anni tra San Pietroburgo e Mosca, facendosi notare per la sua brillante cultura. Nel 1827 anche Puškin le dedicò una poesia, che iniziava così: “Regina delle muse e di beltà”. Zinaida fu attiva anche politicamente. In particolare, appoggiò l’insurrezione decabrista del 1825, rendendosi invisa al governo russo, ragion per cui ritornò a Roma nel 1829.
Gli ultimi anni di Zinaida e la sua tomba
Nel 1830 Zinaida acquistò una villa nei pressi della basilica di san Giovanni in Laterano. Nelle sue stanze passarono personaggi del calibro di Gogol’, Turgenev, Stendhal, Hugo, Donizetti. Villa Volkonskij esiste ancora oggi e ospita l’ambasciata inglese. Il piazzale antistante all’ingresso è stato intitolato proprio a Zinaida.
Nel 1833, in seguito a una malattia, Zinaida decise di convertirsi dalla fede ortodossa al cattolicesimo, trascorrendo l’ultima parte della sua vita impegnata in opere di beneficenza. Morì il 24 gennaio 1862 a causa di una polmonite che si buscò, narrano le leggende, dopo aver donato il suo scialle a una mendicante incontrata per strada. “Un’immensa folla accompagnò il feretro dell’amata principessa russa dalla villa fino alla chiesa di san Vincenzo”. Qui Zinaida aveva acquistato una tomba per il marito, ma lei desiderava essere sepolta in San Pietro, dove si trovavano già le tombe di Matilde di Canossa e di Cristina di Svezia. L’estremo desiderio non fu esaudito e Zinaida riposa con la sorella e il marito, all’interno della chiesa dei santi Vincenzo e Anastasio, in una tomba segnalata da una grande epigrafe di marmo sormontata dagli stemmi di famiglia (purtroppo non sono riuscita a decifrare la lunghissima iscrizione). Una tomba molto diversa rispetto a quella grandiosa e romantica che fu realizzata a Torino per la madre Barbara!
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Testi e immagini (dove non specificato altrimenti) © Manuela Vetrano. Se vuoi usare questo materiale, scrivimi: info@lacivettaditorino.it
Approfondimenti
Aleksej Kara-Murza, Roma russa, Sandro Teti Editore, 2005
Barbara Beloselskaja e la “Velata”