Posso darvi un consiglio per una gita fuori porta? Andate ad Aglié, un tranquillo borgo del Canavese a 40 km da Torino. Ho già accennato al castello che domina l’abitato: un tempo di proprietà del conte Filippo San Martino, passò nelle mani dei Savoia e infine allo Stato. Al suo interno si conservano varie meraviglie, tra cui il crocifisso ricavato da una zanna dell’elefante Fritz e il terrificante busto in cera di Madamigella Soissons… perciò vale la pena venire qui anche solo per visitare questa reggia patrimonio dell’UNESCO.
Ma Aglié è anche legata a un importante nome della nostra letteratura, il poeta Guido Gozzano. Devo dire la verità: io non sono un’amante della poesia, ma i versi nostalgici e malinconici di Gozzano mi garbano assai e me lo rendono affine. Ho sempre trovato romantica la sua figura, sia per il suo personale esile ed elegante, che per la sua inquieta relazione con la poetessa Amalia Guglieminetti. E mi ha colpito la sua morte: la tubercolosi lo portò via a soli 32 anni.
Guido Gozzano nacque a Torino, in Via Bertolotti 2, la mattina del 19 dicembre 1883, da Fausto Gozzano e Deodata Mautino, in una famiglia benestante. Nel 1907 gli venne diagnosticata la malattia e lui, consapevole che non sarebbe vissuto a lungo, scrisse questi versi: “Io penso che vita, che vita sarebbe la mia, se già la Signora vestita di nulla non fosse per via…” (da L’Ipotesi).
La Signora vestita di nulla lo venne a prendere il 9 agosto 1916, alle 19, nella casa di Via Cibrario 65. L’artista e amico Eugenio Colmo descrisse così l’ultimo Guido: “Pareva un santo. Tutto pelle e ossa, un santo d’avorio”. I funerali, organizzati dall’impresa funebre Genta, vennero celebrati il 12 agosto nella Chiesa di Sant’Alfonso. Ero convinta che fosse stato sepolto al Monumentale (tra l’altro, proprio vicino all’ingresso si trova una tomba Gozzano, ma ho saputo che non c’entra nulla con lui). Invece fu portato ad Aglié, luogo di origine dei suoi genitori e dove la famiglia possedeva una villa, il Meleto.
La civetta ha programmato più volte di recarsi ad Aglié sulle orme di Guido Gozzano e quest’estate è riuscita nell’intento. Giunta ad Aglié, è andata subito al cimitero del paese, che si trova proprio in Via Guido Gozzano. Gozzano venne sepolto inizialmente nel cimitero, nella tomba di famiglia. Il 6 settembre 1951 fu traslato nell’adiacente Chiesa di San Gaudenzio, dove già riposavano gli avi materni. Una lapide candida fu posta a sigillo delle spoglie del poeta (che si racconta fossero ancora intatte!). L’iscrizione, dettata dal letterato Carlo Calcaterra, recita: “Ha qui pace Guido Gozzano che nel suo Canavese ha trovato la via del rifugio e nei colloqui con gli uomini salì purificato a Dio. Nato e deceduto a Torino, 19/12/1883 – 9/8/1916”. Non vi sto a dire la mia delusione, quando mi sono trovata di fronte un enorme cancello arrugginito che mi ha impedito l’accesso alla chiesa… mi sono quindi accontentata di fotografarne solo l’esterno.
Mi sono avviata poi al “rifugio” di Gozzano, il Meleto, imboccando una stradina che porta fuori dal paese e in pochi minuti sono arrivata. La visita alla villa e al suo giardino vale tutti i 5€ spesi per il biglietto d’ingresso. Appena si varca la soglia, nella penombra e frescura tipiche delle case di campagna, ecco che si torna ai primi anni del Novecento e la sensazione di poter trovare Guido seduto nello studio a leggere è tangibile. Il Meleto (chiamato così perché nel giardino crescono alberi di mele) fu fatto costruire nella seconda metà dell’Ottocento dal nonno materno del poeta, che lo donò alla figlia in occasione delle nozze con Fausto Gozzano. Nel 1904 il rustico fu rivisitato nello stile Liberty tanto apprezzato da Guido. Sempre a inizio secolo la famiglia vendette la nuda proprietà della villa, mantenendone l’uso a vita. Nel 1939 la casa passò alla famiglia Facchini e, dopo un periodo di degrado, nel 1972 agli attuali proprietari, i Conrieri, che ne hanno curato il restauro e l’apertura al pubblico.
La visita al Meleto parte dal piano terra (purtroppo non si possono fare foto!)… la vecchia Cucina è stata adibita a biglietteria. Da qui si passa nella Sala da Pranzo (dove alle pareti ho notato due bassorilievi di Leonardo Bistolfi) e poi nel Salotto: basta leggere la poesia “L’amica di nonna Speranza” per vedersi davanti questa stanza piena delle famose “buone cose di pessimo gusto”. Infine si entra nello Studio traboccante di volumi e di fotografie di Guido con familiari, amici e vari personaggi del mondo artistico dell’epoca…
Si sale al primo piano e, passando vicino a una stupenda vetrata Art Nouveau, si vedono le Camere da Letto: quella di Erina e Renato, fratelli del poeta, quella della madre Deodata (dove un paravento tutto decorato a découpage mi ha fatto andare in visibilio) e per ultima la stanza di Guido, piena di ricordi del suo viaggio del 1912 in India. Sul letto è un cuscino bianco, ricamato con due rondini in volo che si baciano… si tratta del “cuscino tanto prediletto dal mio Guido, che ne deponemmo il capo anche dopo morto”: queste le parole scritte da Deodata sul foglietto ingiallito che è appoggiato sopra.
E’ un’emozione forte sostare in queste stanze e passeggiare nel giardino… davvero ringrazio chi ha lavorato per far sì che questo luogo incantato arrivasse fino a noi pressoché intatto a ricordarci un artista dalla vita breve, rimasto giovane per sempre.
“L’immagine di me voglio che sia sempre ventenne, come in un ritratto;
amici miei, non mi vedrete in via, curvo dagli anni, tremulo e disfatto!” (da I Colloqui)