Quando si passeggia nelle aree storiche del Cimitero Monumentale è raro che si incontri qualche anima viva. Ogni tanto spunta un gatto che subito sparisce, infastidito dalla presenza di un orrido bipede umano. Si può dire di essere soli, ma è davvero così? Si è circondati da migliaia di sepolcri, statue, piante. Qui ogni angolo e ogni lembo di terra sembrano palpitare. Spesso un busto o una lapide attraggono come una calamita il visitatore che si ferma a guardare, capendo di trovarsi di fronte a qualcosa di unico e prezioso. A tal proposito vi racconto questa.
Un giorno stavo vagando qua e là per il Monumentale, pensando ai fatti miei immersa nella quiete assoluta di questo parco della memoria. A un certo punto mi sono bloccata: la mia curiosità è stata catturata da una statua che non avevo mai notato prima e che sormontava una tomba ricoperta da una cascata di edera. Niente di strano in quest’ultimo dettaglio: la pianta simbolo di amore perenne abita ogni zona del cimitero e spesso contribuisce a rendere suggestivi i sepolcri più antichi. È stato lo sguardo della statua, fisso nel vuoto, a chiamarmi per farmi osservare meglio tutto l’insieme consentendomi di scoprire una nuova storia.
La scultura in questione raffigura una donna avvolta in un ampia veste, con un velo che le copre il capo. Seduta su un alto basamento, appoggia la testa al braccio. I suoi occhi sono vitrei. Sul lato sinistro della statua c’è la firma, ormai quasi sparita, dell’artista che l’ha realizzata: Pietro Canonica. Arieccolo! Canonica è forse lo scultore che ha lasciato il maggior numero di opere all’interno del Monumentale, ma questa proprio non la conoscevo! Di questo scultore vi parlai tempo fa in questi due articoli del blog: Gli occhi di Pietro Canonica e Il Museo Pietro Canonica a Roma e il Monumentale di Torino.
La Gazzetta Piemontese del 1897 ci racconta qualcosa sull’opera che all’epoca era stata appena posizionata nel camposanto: “Improntata ad un movimento drammatico, violento, quella figura di non pare uscita dalla famiglia di soavi, dolenti, delicate figure dello scalpello del Canonica”. Il modello in gesso di questo monumento, intitolato “Meditazione”, fu esposto nel 1896 alla Triennale di Torino e non suscitò che tiepidi apprezzamenti: “Una donna medita, poggiando il braccio destro piegato su di un rialzo e poggia il mento e la testa pensosa e cupa sulla piegatura del braccio; l’altro braccio è disteso, lungo il corpo, la mano si affonda nervosamente nelle pieghe della veste. L’esecuzione è lodevole ma, francamente, quella posa, per quanto naturale, non è troppo nobile, toglie pregio al lavoro, che in definitiva soddisfa poco”. Dunque si tratta di un’opera particolare, perché diversa da quelle a cui l’artista aveva abituato il pubblico.
Continuando la mia osservazione, ho notato che tra le foglie d’edera spuntavano altri due interessanti particolari: il volto di un’altra figura femminile posto all’interno di un medaglione di bronzo ormai ossidato e, vicino ad esso, una tavolozza e dei pennelli, anch’essi bronzei. Avevo quindi di fronte a me la tomba un’artista, donna per di più! Ho scostato rami e foglie (la prossima volta mi porto un machete) e ho letto, non senza qualche difficoltà, un’iscrizione che suona più o meno così: “Questo sepolcro Scipione Giordano erigeva a perenne ricordo della madre Sofia Giordano Clerk”. Dovevo saperne di più. Ecco cosa ho scoperto su di lei.
Nata a Torino nel 1779 da una famiglia modesta, fin da piccola Sofia, o Sophie, Clerk, o Clerc, Leclerc, Le Clerk, dimostrò di avere attitudini artistiche.
Fu allieva del bolognese Pietro Giacomo Palmieri, dal 1778 primo disegnatore dei Savoia-Carignano e consigliere per l’acquisto di disegni e stampe destinati alle collezioni reali. Rimasta presto orfana e senza mezzi, Sofia fu aiutata dal suo padrino, il banchiere Giacomo Vinay. Questi, su sollecitazione del Palmieri, mandò Sofia a studiare a Roma. La fanciulla aveva all’epoca 19 anni. È facile immaginare quale dovesse essere la sua eccitazione alla vigilia della partenza verso nuove conoscenze ed esperienze. Nella capitale dell’arte Sofia frequentò la scuola di miniatura e pastello diretta dalla signora Theresa Mengs Maron. Era questa figlia di Ismael, pittore di corte a Dresda, e sorella maggiore del famoso Anton Raphael, uno dei più noti esponenti del Neoclassicismo, nonché moglie del pittore austriaco Anton von Maron.
I primi lavori di Sofia furono i ritratti in miniatura dei suoi benefattori. Eseguì inoltre copie da Francesco Albani e Guido Reni, che furono poste nell’Accademia di San Luca. Lei stessa fu nominata “Accademica di merito” il 12 settembre 1801 e in quella occasione fu realizzato da Giovanni Domenico Cherubini il suo ritratto, che ancora oggi si conserva nella Galleria dei Ritratti di questa prestigiosa istituzione romana. Cherubini la ritrasse in tutta la sua bellezza giovanile con un abito bianco stile impero, avvolta da un velo, con eleganti orecchini pendenti, le mani e una penna appoggiate su una cartella colma di fogli.
Dopo dieci anni trascorsi a Roma, Sophie tornò nella sua Torino ormai occupata dalle forze napoleoniche. Ammessa all’Accademia delle Scienze accanto alla poetessa Diodata Saluzzo, altra importante donna piemontese, nel 1803 Sophie si sposò con l’ostetrico di Casa Savoia, Giovanni Giordano, da cui ebbe due figli, Emilio e Scipione. Nel 1805 si fece notare da Napoleone e lo ritrasse. Questo ritratto fu poi donato da Lady Delphine Beeker al Museo del Risorgimento di Torino. Presentò le sue opere nelle esposizioni torinesi del 1805, 1811 e 1820 e ottenne anche una medaglia d’oro. Realizzò ritratti a olio di varie personalità illustri, ma non solo: praticava perfettamente la miniatura su avorio e usava anche i pastelli.
La sua copia dell’Erodiade di Guido Reni è conservata nel Gabinetto delle Miniature di Palazzo Reale, mentre un suo autoritratto è nei depositi della Galleria Sabauda.
Sofia si dedicò alla famiglia, ma non smise mai di dipingere. Morì per febbre nervosa il 24 aprile 1829 (non il 14 maggio, come spesso viene riportato). Dopo molti anni dalla sua morte, il figlio Scipione (1817-1894, che seguì le orme paterne e lavorò nel sifilocomio di Torino), commissionò a Pietro Canonica il monumento funebre che tanto mi ha colpito.
Ecco, questa è una delle tante storie che il Cimitero Monumentale di Torino custodisce. Una piccola storia, di quelle che piacciono a me. Conosciuta da pochi e quasi dimenticata, ma da riportare alla luce anche solo per qualche minuto, il tempo necessario a leggere questo breve articolo.
Approfondimenti
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Biografia di Diodata Saluzzo