Se muoiono gli esseri viventi e i sentimenti, allora possono morire anche gli oggetti e addirittura i palazzi. E’ il caso di Villa Capriglio, la villa torinese ai piedi della collina di Superga.
Villa Capriglio è stata la casa stregata della mia infanzia. Da piccola tremavo di terrore quando mia sorella e i suoi amici dicevano che sarebbero andati a curiosare nella “casa gialla”, che si erge ancora oggi abbandonata e isolata in mezzo al verde di Strada al Traforo di Pino 67, nella Val Grande di Mongreno (o di Sassi). Era per tutti la dimora dei fantasmi, luogo di messe nere e misteriosi assassinii.
Adesso non ho più paura delle storie macabre, esoteriche o paranormali che circolano intorno alla casa. Mi fa orrore invece l’osceno stato di degrado in cui versa un edificio che è stato definito “di grande prestigio” e “di particolare interesse storico”.
La residenza fu costruita all’inizio del 1700, forse su progetto di un collaboratore di Juvarra, in un periodo in cui la collina torinese era costellata di “vigne”: sontuose magioni extraurbane destinate agli svaghi della corte, circondate da rigogliosi giardini e terreni spesso coltivati a vite, attraverso le quali i proprietari sbandieravano la loro elevata posizione sociale ed economica.
La storia della villa è assai nebulosa. Uno dei primi proprietari fu un certo Marchisio. Nel 1736 la sua vedova, Maria Maddalena Genevosio, lasciò la villa in eredità al nipote, Modesto Genevosio (collezionista di antichità e cose preziose), il quale nel 1743 la passò al fratello Giovanni Aurelio, che a sua volta la vendette alla famiglia Melina.
Pruriginosi gossip raccontano che per tutto il 1700 i compiacenti proprietari ospitassero spesso tra le mura del palazzo i regali amplessi sabaudi. In realtà è più probabile che i signori della “casa gialla” fossero tra i grandi favoriti dei sovrani e che intrattenessero con loro sì loschi rapporti – mai chiariti -, ma di natura economica.
Nel 1746 la vigna fu acquistata per 14.500£ da Giampaolo Melina, conte di Capriglio. Costui proveniva da una famiglia di droghieri e non aveva quindi una goccia di sangue blu nelle vene, ma era un tipo molto intraprendente. Ebbe tre figli dalla prima moglie Teresa Angiono, femme de chambre della principessa di Piemonte. Fu amante e poi secondo marito di Genoveffa Astrua Baretti (matrigna del letterato illuminista Giuseppe Baretti) e riuscì presto a entrare nelle grazie dei Savoia.
Vittorio Amedeo II fu un sovrano molto aperto nei confronti della borghesia e ciò permise al Melina di comprare nel 1722 il feudo di Capriglio (AT). Nel 1727 fondò una manifattura di cotone che lo arricchì sempre di più. La scalata al successo fu inarrestabile: nel 1731 fu nominato conte e nel 1733 consigliere delle finanze e intendente generale delle fabbriche e fortificazioni.
Villa Capriglio, detta anche Villa Melina, fu ammodernata dal secondogenito di Giampaolo, Michelangelo Alessio, “mediocre talento, e niun studio, ma flessibile e cortigiano” (buon sangue non mente). Nel 1757 si sposò con una tale Clara Marianna Lavezzeri, che gli diede 7 figli. Ereditò le cariche paterne, alle quali si aggiunsero quelle di segretario del gabinetto del re (1775) e presidente capo dei regi archivi (1785).
Un’epigrafe del 1788, un tempo alla villa, ci racconta quali furono le migliorie: “(…) ho costruito un muro con volte contro la caduta della terra (…), ho rimesso in funzione i condotti distrutti dalle acque e le ho dirette in un ninfeo, ho costruito una doppia scala dal piano alla sommità, ho sistemato statue, colonne, vasi di marmo, ho cinto di alberi i lunghi sentieri del pendio perché prendesse il sole e ho sparso la ghiaia, ho reso l’esterno della villa e tutto il suo recinto più elegante”
Così appariva poi il Capriglio nel 1790: “(…) evvi una cappella riccamente adornata (…) appartamenti forniti di quadri di eccellenti pittori (…), una bella prospettiva in forma semicircolare con una fontana nel mezzo e lateralmente due scaloni che danno l’accesso ad ogni parte della vigna (…), una colossale statua rappresentante Ercole (…), avanzo della famosa fontana che eravi nel Real Giardino della Veneria”
Michelangelo Alessio morì il 4 novembre 1793 e la villa entrò nelle mani del Regio Demanio (ciò conferma lo stretto rapporto che c’era tra questa residenza e i Savoia). Si perdono nelle nebbie del tempo i successivi passaggi di proprietà: al 1838 risale l’acquisto dal Regio Demanio da parte dell’avvocato e preside della Facoltà di Legge, cavaliere Antonio Callamaro, che nel 1878 la lasciava alla figlia, moglie dell’avvocato Edoardo Cattaneo. I Cattaneo sono stati gli ultimi proprietari della villa, che nel 1963 passò al Comune di Torino.
La costruzione della Strada al Traforo di Pino ha segnato la rovina del Capriglio, snaturandolo: ha eliminato buona parte del parco antistante, dei terreni agricoli e l’antico accesso dalla Strada Mongreno, immergendo la casa nel frastuono delle macchine che sfrecciano a tutta velocità verso Chieri. I lavori hanno rovinato la statua di Ercole di Bernardo Falconi, che rimase per molto tempo spezzata nel giardino e un bel dì sparì.
Nel 1971 il Comune iniziò il restauro, presto interrotto. Il palazzo rimase in balia dell’incuria, di ladri e vandali. Una parentesi di luce si è avuta tra 1999-2009, quando la villa fu affidata all’Associazione Culturale “I Leonardi”. Nel 2009 il Comune l’ha messa in vendita, ma nessuno la vuole e ormai cade a pezzi e presto di lei non ci sarà più traccia. “Il Capriglio è uno dei più vistosi esempi di distruzione e dispersione di un prezioso patrimonio storico-artistico”: così ha scritto Elisa Gribaudi Rossi nel 1983 e così è a distanza di 30 anni.
Ecco uno dei tanti beni culturali italiani che muore, di una morte lenta e dolorosa.
Fantasmi? Oscure presenze? Quello che io sento e vedo al Capriglio è solo una grande tristezza.
Testi e immagini © Manuela Vetrano. Se desiderate utilizzare questo materiale scrivete a: info@lacivettaditorino.it
Approfondimenti
Votate per il recupero di Villa Capriglio: I luoghi del cuore