Ok, lo so, vi starete chiedendo che cosa c’entra il famigerato e mai identificato omicida, Jack lo Squartatore, con Torino. È presto detto. Vi ricordate che Londra è stata una delle tappe del viaggio di nozze settembrino della Civetta e del Principe Consorte? Ci eravamo stati già altre volte, ma è una città di cui non si ha mai basta, ci sono sempre posti nuovi da scoprire. Aveva ragione lo scrittore Samuel Johnson: “Chi è stanco di Londra, è stanco della vita”. Questa volta abbiamo deciso di andare a curiosare all’Old Spitalfields Market, un mercato coperto, dove si trovano un sacco di bancarelle che vendono oggetti artigianali davvero particolari. Se siete a Londra, questo è un ottimo punto in cui acquistare qualche bel gift da portare a casa come ricordo. L’Old Spitalfields Market è situato nell’East End londinese e proprio di fronte al suo ingresso, sull’altro lato di Commercial Street, sorge il Ten Bells Pub. Sapevo che questo locale storico è noto come “il pub di Jack lo Squartatore”. O meglio, è il pub dove due delle sue vittime si sarebbero recate poco prima di essere uccise e dove, forse, furono da lui adescate. Trovarmi nelle strade percorse dal folle omicida non è che mi abbia proprio entusiasmato… c’è da dire che oggi la zona non è malfamata come lo era nell’Ottocento, è vivace e piena di gente. Comunque, mi sono chiesta se, quando si svolsero i fatti, il clamore suscitato dell’oscura vicenda di Jack the Ripper arrivò anche da noi in Italia e a Torino. E così sono andata a cercare informazioni…
A Jack lo Squartatore sono stati attribuiti con certezza cinque omicidi, commessi tra il 31 agosto e il 9 novembre 1888 nella zona di Whitechapel, all’epoca uno dei sobborghi più pericolosi della città. Furono assassinate cinque donne, tutte prostitute: Mary Ann Nichols, Annie Chapman, Elizabeth Stride, Catherine Eddowes e Mary Jane Kelly. Furono la Chapman e la Kelly ad essere viste al Ten Bells Pub prima di essere uccise. Questi assassinii, insieme a diversi altri inizialmente affibbiati a Jack, diventarono noti come “i delitti di Whitechapel” e gettarono nel panico tutta Londra per la loro efferatezza, ma soprattutto perché non si riusciva a rintracciarne l’autore. L’eco dei fatti fu internazionale. In Italia cosa si diceva in merito? Io sono andata a spulciare in particolare il quotidiano di Torino, la Gazzetta Piemontese (l’attuale La Stampa), Si trovano vari articoli in merito soprattutto nelle annate 1888 e 1889, poca roba invece negli anni successivi. Negli articoli del 1888 il corrispondente da Londra era tale Nick Bottom, del quale purtroppo non so dirvi assolutamente nulla. Dal 1889 in poi il nome del giornalista non venne più specificato.
Il primo articolo rilevante fu scritto il 3 settembre 1888 e apparve sulla Gazzetta Piemontese di giovedì 6. Nick raccontava che il quartiere di Whitechapel, dove “vivono agglomerati miseria, vizio e prostituzione”, era una zona a rischio. Lì la delinquenza era all’ordine del giorno, ma nell’ultimo anno c’erano state uccisioni particolarmente violente di “donne pubbliche”. Di queste uccisioni, solo quella di Mary Ann Nichols del 31 agosto venne ascritta poi a Jack. Bottom scrisse, indugiando sui particolari macabri come si fa ancora adesso sulla carta stampata e in tv: “Il cadavere aveva una profonda ferita alla gola che correva da un orecchio all’altro, il ventre squarciato con un tremendo colpo di coltello e le interiora penzoloni, oltre a parecchie contusioni in varie altre parti. Dalla conformazione delle ferite i medici opinano che l’uccisore sia mancino” (particolare quest’ultimo smentito in seguito). Riguardo all’autore dei delitti, Bottom riportò che a Londra non si parlava di una persona sola, bensì di una “banda di lenoni, gli High-Rip”, che uccidevano le prostitute che non volevano dar loro i soldi che guadagnavano.
In un articolo di lunedì 24 settembre Nick si focalizzò sulla polizia londinese: “Abbiamo tutti imparato fin da fanciulli, leggendo i romanzi, come i detectives inglesi fossero famosi per scoprire ladri e assassini”. Dopo questo inizio che lascerebbe ben sperare, il giornalista si affrettò subito a precisare che a Scotland Yard regnava il disordine più totale e che i detective non riuscivano a venire a capo dei delitti di Whitechapel. Intanto gli omicidi si susseguivano. L’8 settembre fu la volta di Annie Chapman e il 30 settembre le uccisioni furono addirittura due nello stesso giorno: Elizabeth Stride e Catherine Eddowes. Lunedì 1 ottobre Bottom scriveva: “A Londra di null’altro si parla”. L’omicida restava a piede libero e l’opinione pubblica, sconvolta, invocava le dimissioni del Ministro degli Interni e del capo della polizia. Tante erano le ipotesi per rintracciare l’origine dei delitti. Dapprima una banda, poi la gelosia di eventuali compagni delle donne, poi un pazzo: “un macellaio, perché la natura delle ferite dimostra una mano rozza sì, ma esperta nell’uso del coltello”. A Elizabeth Stride “si è tentato di strappare l’utero dopo avere scientificamente aperto il ventre”, mentre a Catherine Eddowes, come anche ad Annie Chapman, “l’utero è stato asportato”. Si favoleggiava di uno scienziato americano che aveva girato gli ospedali cittadini chiedendo per i suoi studi che gli venissero dati uteri di donne morte, dietro il pagamento di 550 franchi l’uno.
Nel frattempo, il 27 settembre la polizia aveva ricevuto la prima di una serie di lettere vergate da un personaggio che affermava di essere l’assassino. All’inizio i detective pensarono ad un mitomane. La lettera fu presa seriamente in considerazione solo dopo il doppio omicidio del 30 settembre, perché annunciava il taglio di un lobo che in effetti mancava al cadavere della Eddowes. La missiva del 27 settembre è il primo documento in cui compare il soprannome “Jack the Ripper”. Una curiosità: inizialmente sulla Gazzetta Piemontese Jack non era definito “Squartatore”, bensì “Sventratore” oppure veniva citato all’inglese.
Martedì 13 novembre Bottom scrisse dell’ultimo delitto che fu poi attribuito con certezza allo Sventratore: quello di Mary Jane Kelly del 9 novembre. Il delitto fu commesso “con maggior sangue freddo del solito e con un’impudenza da far fremere, da un demonio con la scienza del macellaio (…). La testa recisa dal tronco, un braccio penzolone attaccato alla sola pelle, il ventre aperto, il fegato tra le cosce, dalle quali era stata staccata la carne o sparsa sul tavolino, su cui si vedevano pure due mammelle recise e gli altri organi, le budella intorno al letto, una mano entro la cavità del ventre, il naso reciso e così le orecchie e la pelle del volto”. Siccome i delitti si consumavano tra il venerdì e la domenica, quando arrivavano i battelli che portavano il bestiame e che ripartivano il lunedì, si pensò che forse l’assassino poteva essere un macellaio che faceva su e giù per la Manica. Il cronista scriveva che ormai a Whitechapel qualsiasi forestiero era visto con sospetto e non era il benvenuto.
Dal 1889 gli articoli della Gazzetta non vengono più firmati da Nick Bottom (al quale, devo essere sincera, mi sono anche un po’ affezionata) e diventano sporadici. Parlano di altri omicidi, avvenuti in in Svizzera, Germania, Spagna… si supponeva insomma che Jack the Ripper fosse espatriato. Vengono descritti rocamboleschi tentativi di arresto in cui i detective londinesi si travestirono da donna per acciuffare il presunto assassino. Addirittura da Parma arrivò la notizia di tale Pio Bresavola, procuratore del re a Borgotaro, il quale affermava di aver rintracciato lo Squartatore in un medico membro di un’associazione che si era preposta, tramite l’asportazione delle ovaie, di riuscire a praticare fecondazione artificiale. Si giunge persino a ironizzare sui fatti con una storiella divertente apparsa nel 1890 nelle colonne della rubrica “La vita che si vive”, sempre sulla Gazzetta: durante una seduta spiritica due artisti evocarono il fantasma di un mandarino, Aoud-Jou, ghigliottinato nel 1793, per domandargli che fine avesse fatto Jack the Ripper. Questi affermò che Jack era il macellaio che abitava in via Besty. Allora, a Londra, esisteva davvero un macellaio abitante in quella strada, perciò i due artisti corsero alla polizia. Fu loro risposto con la tipica impassibilità inglese che non era possibile arrestare alcuno sulla base della testimonianza, seppur autorevole, di un mandarino morto nel 1793. Per fortuna, qualche giorno dopo, quel macellaio morì in una rissa, con buona pace di tutti quanti!
Jack lo Squartatore non è stato mai identificato, nonostante le tante ipotesi. Quella che personalmente mi affascina di più riconosce l’assassino nel pittore Walter Sickert, il quale avrebbe lasciato traccia dei delitti nei suoi dipinti. Chissà dov’è nascosta la verità e se si verrà mai a capo di questo mistero. Fatto sta che i torinesi del 1888 ebbero modo di tenersi aggiornati con gli articoli di Nick Bottom. Chissà se leggendo si sentirono travolti, come lui stesso scrisse, “da una caleidoscopica ondata di sangue che mette i brividi e oscura le menti”.
Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi supportare la mia attività, puoi fare una donazione con PayPal. Grazie! [paypal-donation]
Testi © Manuela Vetrano. Se vuoi usare questo materiale, scrivimi: info@lacivettaditorino.it