Nella mia mente il nome Francesco Tamagno è legato in modo indissolubile alla tomba che si trova al Cimitero Monumentale di Torino. Mia madre mi ha spesso indicato questo enorme mausoleo, il più alto del cimitero, che accoglie le spoglie del tenore e io ho sempre pensato che questo Tamagno doveva essere stato davvero importante per possedere un sepolcro degno di un re. E, in effetti, Francesco Tamagno fu il cantante lirico italiano più famoso dell’Ottocento.
Francesco Innocenzo Tamagno, detto “Cichin”, nacque a Torino il 26 dicembre 1850 da Carlo e Margherita Protto. La modesta famiglia abitava in Borgo Dora, dove il padre lavorava come oste nella Trattoria del Centauro. Il locale era chiamato anche “Trattoria dei Pesci Vivi“, perché si trovava sulla riva della Dora Riparia, in cui si pescavano i pesci sul momento (oggi credo si pescherebbero più che altro nutrie panciute) per cucinare una frittura molto rinomata. Gli affari però non giravano bene, anche a causa della crisi post guerra 1859 e delle epidemie che falciarono la famiglia: su 15 figli, 10 morirono di tisi o tubercolosi. I cinque superstiti, tra cui Francesco, lavoravano come camerieri nella trattoria.
Cichin aveva ereditato dal padre una bella voce e non era raro per i clienti del Centauro assistere a gare canore tra i due. Francesco coltivò la sua passione per la musica: non potè studiare, ma cantava nel coro della chiesa e si iscrisse a una società di cantori dilettanti che si esercitava sotto l’unica grande arcata del ponte Mosca. Spesso andava al Teatro Regio e assisteva agli spettacoli dal Loggione, la “piccionaia” che ospitava 400 spettatori.
Nel 1868 decise di presentarsi al cospetto del maestro (e direttore dell’orchestra del Regio) Carlo Pedrotti, per chiedere di essere ammesso al liceo musicale. Ottenne un rifiuto. Non possedeva titoli di studi adeguati e poi, disse Pedrotti (prendendo un granchio grosso come una casa):
“Hai dei buoni polmoni, ma attitudini artistiche zero… perseverando potresti diventare nel tempo un buon corista…”
Perseverando Francesco riuscì nel 1870 ad entrare nel coro del Regio. Nel 1871 arrivò l’occasione per lui. In vista della messinscena del “Poliuto”, il tenore protagonista si ammalò e Tamagno fu scelto come sostituto. Da quel momento in poi ebbe inizio la sua carriera, che lo portò in giro per il mondo. Aveva una voce così possente che, si dice, faceva “tremare i lampadari del Regio” (di questa voce abbiamo testimonianza grazie alle registrazioni del 1904 della Gramophone & Typewriter Co di Londra). Diventò il più grande tenore verdiano: il suo cavallo di battaglia era l’“Otello”, che esordì il 5 febbraio 1887 alla Scala di Milano. Verdi era all’inizio restio ad affidargli la parte e si racconta che disse al tenore: “Francamente tu mi ispiri poca fiducia“. Tamagno gli rispose:
“Mi metta alla prova, Maestro. Molti artisti avranno più talento artistico di me; nessuno ha più cuore”
Non si sposò mai Tamagno, ma non disdegnava le belle donne. Da una relazione clandestina con una nobildonna sposata nacque, il 2 settembre 1879, Margherita. Tamagno non rivelò mai il nome della sua amante e, anziché allontanare questa figlia illegittima, la tenne con sé e fu un “ragazzo padre”, in un’epoca in cui queste situazioni non erano certo viste di buon occhio. Tamagno adorava questa bambina e, quando non poteva portarla con lui, le scriveva frasi così:
“Tu sei la sola creatura che io amo con tutta l’anima mia: la sola per la quale darei mille volte la vita”
Artista sommo, padre amorevole e uomo con qualche piccolo difetto… Tamagno aveva la fama di taccagno (e scusate la rima baciata): si rivendeva i biglietti di prima classe e viaggiava in seconda; alloggiava in alberghi di second’ordine e si portava da casa le candele per non doverle comprare… forse questo atteggiamento fu una conseguenza dell’infanzia trascorsa nella povertà. Risparmiava quindi su tutto, o quasi… nel 1885 comprò per 80.000£ Villa Albuzzi del Pero a Varese (chiamata poi Villa Margherita, oggi sede degli uffici dell’Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi). Non rifiutava poi regali preziosi, come il portafogli ricoperto di diamanti e rubini donatogli dalla soprano Haricléa Darclée.
Dal 1898 il tenore iniziò ad allontanarsi dalle scene. Diceva:
“Lascio l’Arte, perché non posso rassegnarmi al pensiero che un giorno l’Arte lasci me”
La sua salute declinò rapidamente in seguito ad un attacco di angina pectoris, nella primavera del 1905. Il 30 agosto fu colpito da un’emorragia cerebrale e morì alle 7.30 del mattino successivo, vegliato dalla figlia, dal genero (l’avvocato Alfredo Talamona), dal fratello e dai medici, nella villa di Varese.
A soli 54 anni si spegneva la stella più luminosa della lirica italiana.
Fine prima parte
Approfondimenti
Leggi anche: Francesco Tamagno e il suo mausoleo – Parte 2
(Ringrazio per l’immagine di Tamagno con Margherita la Biblioteca di Storia e Cultura del Piemonte “G. Grosso”, Via Maria Vittoria 12 Torino)