Spesso mi capita di restare colpita da un’immagine che mette in moto i meccanismi della mia immaginazione romantica. Allora inizio a fantasticare e a incuriosirmi. Si innesca quella molla da cui scaturisce il desiderio di saperne di più. Così è successo quando qualche anno fa è stato inaugurato il nuovo Museo Egizio. In una delle prime sale mi ha folgorato la gigantografia in bianco e nero di un bellissimo ragazzo bruno dallo sguardo profondo e deciso. Colpo di fulmine totale. Chi era costui? Ammetto che se non fosse stato così bello forse non gli avrei dedicato una grande attenzione… Comunque sia, mi sono messa subito a leggere il pannello con la biografia: il giovane era un promettente archeologo che morì a soli 26 anni. Di solito l’accoppiata bellezza + morte in giovane età rende le storie ancora più intriganti e struggenti, perciò Virginio Rosa, questo il suo nome, prese subito posto nel mio cuore civettuolo. In realtà di lui non si sa molto e quello che si conosce viene svelato nella mostra Missione Egitto 1903–1920. L’avventura archeologica M.A.I. raccontata, allestita al Museo Egizio fino al 14 gennaio 2018.
Virginio Gino Michele Rosa nacque a Pinerolo il 30 settembre 1886 dal capitano di Fanteria Giovanni Battista e da Enrichetta Pianazzi. Dopo la morte precoce del padre, la famiglia Rosa si trasferì a Varallo Sesia, paese natio di Enrichetta.
Lì, nel 1903, giunse da Torino un fotografo amatoriale che lavorava per conto della Soprintendenza al censimento dei monumenti del Piemonte e che doveva documentare con le sue fotografie le cappelle del Sacro Monte di Varallo. Questo personaggio era l’avvocato Secondo Pia, noto per essere stato il primo a fotografare la Sindone nel 1898. Pia aveva bisogno di un posto in cui alloggiare per la durata dei lavori e il parroco di Varallo gli indicò la casa di Enrichetta. Si trovò sicuramente bene dai Rosa, tanto da convolare a nozze con Enrichetta nel 1904. Secondo Pia diventò quindi il patrigno di Virginio Rosa (soltanto la scoperta di questo legame di parentela mi esalta)!
A Torino la nuova famiglia andò a vivere nella casa di via principe Amedeo 25, dove ancora oggi sulla facciata un’epigrafe ricorda l’attività di Secondo Pia. Virginio seguì gli studi classici e si laureò in chimica. Le sue passioni erano la fotografia (si fece insegnare dal patrigno tutti i trucchi del mestiere di fotografo), la scrittura (con lo pseudonimo Orsa Maggiore scrisse articoli divulgativi di scienza e storia) e la botanica (alpinista provetto, durante le sue escursioni mise insieme un erbario sulla flora alpina piemontese). Nel 1909 partì alla volta Sassari, dove era atteso all’Istituto Botanico dell’Università come assistente volontario. In Sardegna entrò in contatto con Antonio Taramelli, archeologo piemontese collaboratore di Ernesto Schiaparelli. Quest’ultimo era il direttore del Museo Egizio di Torino e l’organizzatore della mitica Missione Archeologica Italiana in Egitto, nonché persona a capo della Soprintendenza per cui Secondo Pia lavorava come fotografo. Il rapporto con Taramelli, le gesta avventurose e le scoperte della M.A.I. portarono Virginio a sviluppare anche l’amore per l’Egitto. Decise di lasciare Sassari per ritornare a Torino, dove si dedicò anima e corpo allo studio della misteriosa civiltà egizia, coltivando il sogno di potere un giorno partecipare agli scavi e -chissà!- magari riportare alla luce una tomba nascosta nella sabbia da secoli.
Durante gli studi e le incursioni al Museo Egizio, Virginio conobbe Ernesto Schiaparelli. Il direttore del museo capì quanto il giovane fosse determinato e competente e decise di affidargli la direzione degli scavi della M.A.I. nei siti di Gebelein e Assiut. Avrebbe sostituito l’archeologo comasco Francesco Ballerini, morto per malattia il 5 maggio 1910 a 33 anni. Virginio però non aveva alcuna esperienza sul campo… questa scelta avrebbe potuto essere considerata azzardata, ma furono diversi i fattori che condussero Schiaparelli a farla: le garanzie sulla professionalità di Virginio date da Agostino Taramelli, l’amicizia e la collaborazione con Secondo Pia e le ottime conoscenze scientifiche e fotografiche del ragazzo (queste ultime erano ritenute fondamentali da Schiaparelli per documentare gli scavi). Inoltre Rosa era sicuro delle sue capacità e affermava nelle sue lettere di temere soltanto per la scarsa conoscenza della lingua locale.
Virginio si imbarcò a Genova il 26 dicembre 1910 e arrivò a Gebelein il 12 gennaio 1911. Dopo aver assunto gli operai e aver supervisionato l’allestimento del campo (la camera oscura per lo sviluppo delle fotografie si trovava in una grotta), gli scavi iniziarono il 14 gennaio. Per tutta la durata dei lavori Virginio tenne un dettagliato Giornale di Scavo, grazie al quale si sono potute ricostruire tutte le fasi della campagna e delle scoperte. I lavori terminarono ad Assiut il 22 aprile. Virginio si preparò a ripartire per l’Italia soddisfatto del suo lavoro, ma quando sbarcò a Genova il 10 maggio 1911 era purtroppo già malato. La malattia, “oscura e velocissima”, lo colse proprio nella terra dei suoi sogni, l’Egitto, a causa del lavoro compiuto in condizioni di particolare disagio e a stretto contatto con i tanti reperti organici rinvenuti. La campagna del 1911 fu la prima e ultima per lui. Grazie al lavoro di questo giovane e valente egittologo sono state scoperte la tomba degli Ignoti, quella di Ini e quella di Iti e Neferu che possiamo ammirare al Museo Egizio. Virginio morì a Varese il 20 febbraio 1912, a 26 anni. Fu sepolto nella tomba di famiglia di Secondo Pia situata nell’area scoperta della prima ampliazione del Cimitero Monumentale di Torino. In questa tomba riposa anche la madre, mentre il fratello Erminio, di tre anni più giovane di Virginio, morì il 13 luglio 1947 a San Paolo del Brasile.
Di Virginio Rosa ci rimangono soltanto alcune scatole con frammenti di pietra, legno, terracotta e fossili che collezionò in Egitto. Poche fotografie lo ritraggono, mentre lettere e taccuini, scritti con una grafia leggera e ordinata, testimoniano la sua “ardente e impegnata passione per la ricerca del vero e la profonda rettitudine della sua coscienza scientifica” (Schiaparelli). Tutto ciò è attualmente esposto alla mostra sulla M.A.I. Una mostra da visitare, per immergersi in quella meravigliosa epoca di scoperte fantastiche e per ricordare tanti personaggi, come Virginio Rosa che “fu splendente quanto breve primavera” (Silvio Curto).