Oltre ad essere stupenda, Torino è anche una città fortunata: è sede del Museo Nazionale del Cinema, uno dei musei più magici d’Italia, allestito all’interno di un edificio mirabolante, la Mole Antonelliana.
La parte del Museo del Cinema che io preferisco è quella dell’Archeologia, dedicata ai macchinari, agli spettacoli e agli esperimenti realizzati prima dell’avvento del cinematografo dei fratelli Lumière. E’ una sezione così incantevole, che, percorrendo le sale immerse nella penombra, ho spesso l’impressione di varcare una soglia fatata che mi fa piombare nel passato.
Dal punto di vista della Civetta poi, l’Archeologia del Cinema è ricca di risvolti funerari, dark, gotici, bizzarri… Oggi mi soffermo sulle cosiddette Diabléries, che si trovano nella stanza dedicata alla Stereoscopia. In questa sala è stato ricostruito il Kaiserpanorama (inventato da August Fuhrmann a fine 1800), una speciale struttura a cilindro intorno alla quale sono fissate varie postazioni per la visione degli stereogrammi. Accomodandovi ad ogni postazione potrete vedere vari soggetti (paesaggi, monumenti, scene di vita quotidiana, scene erotiche…), tra cui spiccano per la loro originalità le Diabléries.
Ma cosa sarà mai la stereoscopia? Onde evitare spiacevoli cantonate, non ve lo spiega la sottoscritta, ma Donata Pesenti Campagnoni, conservatrice del museo. La stereoscopia è un tipo di visione che “consente di percepire due
immagini piane come un’unica immagine tridimensionale. Essa si fonda sul principio della visione binoculare: ciascun occhio, trovandosi a una certa distanza l’uno dall’altro, vede la realtà con una prospettiva leggermente diversa; è poi il cervello a sovrapporre le immagini bidimensionali trasmesse dalle due retine e a restituire, a livello corticale, un’unica rappresentazione tridimensionale”.
Gli stereogrammi sono quindi due immagini identiche affiancate. Raffigurano lo stesso soggetto ripreso da due punti di vista diversi. La sovrapposizione e la visione tridimensionale di queste immagini sono rese possibili dallo stereoscopio: un visore con due lenti, che spesso si trova tra le cianfrusaglie dei mercatini delle pulci. Inventato da Charles Wheatstone nel 1832, fu perfezionato nel 1844 da David Brewster, che lo presentò nel 1851 all’Expo di Londra ricavandone un enorme successo.
E ora veniamo finalmente alle Diabléries: stereogrammi raffiguranti “La Vita all’Inferno”, realizzati in Francia
fotografando con un’apposita fotocamera stereoscopica scenette modellate in terracotta. Popola queste scene una miriade di allegri scheletrini e diavoletti birbantelli dalle orbite fiammeggianti, impegnati in faccende che possono sembrare buffe e divertenti, ma che in realtà sono vere e proprie satire sulla decadenza della società francese durante l’impero di Napoleone III.
Le prime Diabléries risalgono agli anni ’30 del 1800, ma le più famose furono realizzate nel decennio 1860 – 1870 da un gruppetto di scultori capeggiato da Louis Alfred Habert. E’ probabile che Habert si sia ispirato alle Danze Macabre medievali o alla commedia del 1845 “La biche aux bois”, in cui in una delle scene appaiono degli scheletri. Anni fa, durante i lavori di demolizione di un palazzo di Parigi, fu rinvenuta una scatola con all’interno una sessantina di Diabléries e una lettera, forse di Habert, con scritto:
“Questo è il lavoro di tutta la mia vita. E’ così che immagino gli inferi. Se ho visto giusto, che si rassicurino i malvagi: l’eternità sarà per loro assai dolce da sopportare”
Le Diabléries del Museo del Cinema di Torino sono state create proprio da Habert e pubblicate nel 1873 dal suo socio, l’editore Adolphe Block. Durante il 1900 furono poi acquistate da Maria Adriana Prolo, la fondatrice del museo.
Qual era il procedimento per realizzare le Diabléries? Si modellavano i personaggi (alti da 10 a 20 cm) e gli ambienti delle scenette e si fotografavano. Le immagini ottenute su sottile carta albuminata venivano colorate a mano sul rovescio e forate in corrispondenza di punti particolari (ad esempio le orbite dei teschietti). I fori venivano chiusi con gel o colore rosso. Sul retro delle immagini veniva poi applicato un foglio di carta velina come protezione e infine questi stereogrammi venivano montati all’interno un passepartout di cartone e inseriti nello stereoscopio, pronti per condurre gli osservatori nel “Viaggio all’Altro Mondo” (altro nome delle Diabléries).
Una curiosità? Un grande appassionato e collezionista di Diabléries è Brian May, chitarrista dei Queen. May ha da poco pubblicato il libro “Diabléries. Stereoscophic Adventures in Hell” e afferma: “Appena si guardano queste immagini attraverso lo stereoscopio, si ha la sensazione di camminare in un universo parallelo. Per me è stupefacente, una sorta di magia, un’esperienza molto coinvolgente”.
Allora non vi resta che venire al Museo del Cinema di Torino e provare la coinvolgente esperienza stereoscopica sulla vostra pelle. Così il vostro sguardo si unirà alle
“migliaia di occhi avidi (che) si chinano sui buchi dello stereoscopio come sulle finestrelle dell’infinito” (Charles Baudelaire, 1859)
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Testi e immagini © Manuela Vetrano. Se desiderate utilizzare questo materiale scrivete a: info@lacivettaditorino.it
Approfondimenti
Più info sul libro di Brain May sul blog: Diabléries in Italia
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