Prima del 1777 i torinesi venivano sepolti dentro le chiese della città, pratica che però era vietata per legge fin dall’antichità. La legge romana delle XII tavole recitava: “nessun morto può essere cremato né sepolto in città”. E infatti in epoca romana le necropoli erano esterne all’abitato.
Con l’andar del tempo questo divieto venne eluso. Con l’avvento del cristianesimo e della venerazione portata ai santi e ai martiri, i fedeli volevano essere sepolti vicino alle tombe o alle reliquie di questi personaggi che nelle chiese erano conservate. A Torino non furono molti i cimiteri sviluppatisi nelle aree limitrofe degli edifici religiosi e perciò si seppelliva direttamente dentro di essi. I nobili e gli ecclesiastici erano posizionati all’interno di bare murate lungo il perimetro, tutti gli altri venivano avvolti in semplici teli e pigiati in fosse comuni sotto i pavimenti. Pensate perciò ai numerosi corpi ammassati… la situazione igienica non doveva essere delle migliori, soprattutto nei mesi caldi dell’anno.
Nell’estate del 1776 a Torino scoppiò una terribile calura e nelle chiese le esalazioni pestilenziali si fecero sempre più insopportabili e si temeva la diffusione di malattie. Perciò il 25 novembre 1777 il re di Sardegna Vittorio Amedeo III di Savoia (*1726-+1796, sepolto nella Cripta Reale della Basilica di Superga) emanò un decreto in cui si vietava di continuare a seppellire i defunti all’interno delle mura cittadine e si stabiliva la costruzione di due cimiteri extraurbani: San Pietro in Vincoli e San Lazzaro.
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