La vita di San Giovanni Bosco è un pozzo infinito di aneddoti molto curiosi e l’episodio raccontato in Don Bosco e il Cimitero di San Pietro in Vincoli lo conferma. Esiste ancora un altro fatto a sfondo “funebre” che ha visto protagonista il santo e che merita di essere ricordato in questo blog…
Novembre 1854: Urbano Rattazzi, Ministro dell’Interno del governo Cavour, presenta alla Camera dei Deputati una proposta di legge – detta “legge dei frati” – che prevede la soppressione degli ordini religiosi non aventi fini assistenzialistici e l’incameramento dei loro beni da parte dello Stato. Don Bosco resta molto colpito da questa proposta di legge. Per carità, se approvata, non lo interesserebbe direttamente, dato che lui è tutto fuorché contemplativo, ma ne rimane scosso. Viene poi coinvolto nella faccenda alla fine del novembre 1854, a causa di un sogno che lo fa “star male” e lo rende “addoloratissimo”: racconta di essersi trovato nel sogno circondato da chierici e sacerdoti in un cortile e di essere stato raggiunto da un valletto in livrea rossa che messoglisi davanti annunciò:
“Gran funerale a corte!”
Don Bosco anziché correre a giocare i numeri al Lotto, inizia a preoccuparsi… si tratta di un monito divino per il re o è l’immaginazione che gli gioca brutti scherzi? Il sacerdote decide di tenere tutto per sé, anche perché non osa riferire nulla al re Vittorio Emanuele II, che ha la fama di essere molto superstizioso. Cinque giorni dopo l’incubo si ripete, ma questa volta l’araldo in rosso urla in faccia al santo: “Non grande funerale a corte, ma grandi funerali a corte!”.
Don Bosco, che sicuramente sa che non è il caso di prendere sottogamba le sue visioni notturne, decide infine di scrivere al sovrano consigliandogli di “schivare i minacciati castighi coll’impedire a qualunque costo l’approvazione della legge”.
La legge Rattazzi e l’onirica profezia per Don Bosco sono collegate. Dice infatti ai suoi collaboratori: “Questa legge attirerà sulla casa del sovrano grandi disgrazie. I sogni sono vere minacce del Signore”. Mi posso solo immaginare l’espressione del fumantino Vittorio mentre legge l’inquietante missiva: i lunghi baffi che si attorcigliano, i pomini che diventano rossi come ciliegie, il doppio mento che inizia a tremare… magari ha anche esclamato in piemontese: “Boja fauss!”.
Il re manda da Don Bosco il marchese Fassati per manifestargli tutta la sua collera:
“Ma le pare questa la maniera di mettere sossopra tutta la corte? Il re è andato su tutte le furie!”. Purtroppo l’avvertimento del Don non viene preso in considerazione (infatti la legge sarà poi approvata dal Senato e firmata dal sovrano nel maggio 1855 e verrà soprannominata “legge maledetta”).
Conseguenze:
12 gennaio 1855: muore la madre del re, Maria Teresa d’Asburgo-Toscana a 53 anni;
20 gennaio 1855: muore la moglie e cugina di primo grado del re, Maria Adelaide d’Asburgo-Lorena a 33 anni;
10 febbraio 1855: muore il fratello del re, Ferdinando duca di Savoia-Genova (padre della futura regina Margherita) a 33 anni;
15 maggio 1855: muore a 4 mesi l’ultimogenito di VEII e Maria Adelaide.
Così scrive nelle sue memorie la baronessa Olimpia Savio, dopo la morte del principino:
“Per la quarta volta i sotterranei di Superga (dove si trova la Cripta Reale dei Savoia) si riaprono, quasi per ingoiare tutta quanta la più antica stirpe d’Europa”.
Vittorio Emanuele II nel giro di qualche mese perde praticamente tutta la famiglia e si cucca pure la scomunica da papa Pio IX.
Don Bosco poi era un grafomane, scriveva libri, opuscoli, memorie… nel 1855 scrisse anche questa frase, anch’essa premonitrice:
“La famiglia di chi ruba a Dio è tribolata e non giunge alla quarta generazione”.
La famiglia in questione era quella dei Savoia e il ladrocinio era quello che si attuò nei confronti dei possedimenti degli ordini religiosi aboliti con il benestare del primo re d’Italia. E i re d’Italia che abbiamo avuto, in quanto tali non sono arrivati alla quarta generazione. Dopo Vittorio Emanuele II infatti salirono sul trono:
- Umberto I (assassinato)
- Vittorio Emanuele III (mandato in esilio)
- Umberto II (il “re di maggio” che regnò solo un mese e poi andò in esilio)
Dopodiché la monarchia è sparita.
Don Bosco dixit.