Cari adepti civettuoli, qualche giorno fa sulla pagina Facebook ho accennato al libro Un posto al buio, dello scrittore e regista torinese Corrado Farina (1939-2016). Un giallo alla Fruttero e Lucentini, ambientato nella Torino di fine anni ’90. Un romanzo di quelli veri, che ti tengono attaccato fino all’ultima pagina, e che si è rivelato anche una perfetta descrizione della torinesità e un omaggio al cinema.
Quello che mi ha colpito è che l’intreccio ruota attorno a un edificio ancora esistente nel centro di Torino. La sua è una storia davvero curiosa.
Il cinema Corso, capolavoro dell’Art Déco
L’edificio sorge all’angolo tra via Carlo Alberto e corso Vittorio Emanuele II, chissà quante volte ci siete passati davanti! L’architettura spicca rispetto a quelle vicine, perché l’ingresso, caratterizzato da un arcone sormontato da una cupola, è posto proprio sull’angolo e lo taglia, creando una diagonale che interrompe la consueta linearità formata dagli altri palazzi che si affacciano sul corso. L’edificio fu progettato nei primi anni ’20 dall’architetto Vittorio Bonadè Bottino, noto soprattutto per lo stabilimento FIAT di Mirafiori, ed era considerato uno dei capolavori dell’Art Déco piemontese. Decorato in modo fastoso sia all’esterno che all’interno, aveva una struttura portante in cemento armato. Fu costruito per ospitare una delle sale cinematografiche più grandi d’Italia, dalla capienza di circa 2000 posti. Inizialmente venne chiamato Cine Palazzo, o Palazzo del Cinema, e al suo interno fu installato uno dei primi ascensori della città. Nel 1935 il Cine Palazzo cambiò gestione e nome, diventando Cinema Corso. In questo cinema furono proiettati, tra gli altri, Anna Karenina, Settimo cielo, Tempi moderni, Venere bionda, Ombre rosse, A qualcuno piace caldo, Agente 007 – Licenza di uccidere.
Un incendio distrugge “l’ultimo bel cinematografo di Torino”
Nella notte tra sabato 8 e domenica 9 marzo 1980, il Cinema Corso sparì, distrutto dalle fiamme di un incendio che per fortuna non fece nessuna vittima. Le fiamme iniziarono a divampare fuori dall’edificio verso le 3 e 30. Il comandante dei pompieri affermò che “il fuoco, per mancanza di circolazione d’aria, ha covato a lungo aumentando la temperatura e poi è esploso con la rottura delle vetrate”. L’eccessivo calore cosse il cemento armato della struttura portante: il pavimento crollò sulla sottostante sala da ballo Castellino Danze, mentre la parete dello schermo cadde sull’adiacente Galleria del cinema Nazionale, sfondandola in parte. Rimasero in piedi soltanto l’entrata e le facciate esterne. Alcuni dissero che le fiamme furono originate da un mozzicone di sigaretta rimasto acceso, altri che c’entrava una vicenda di racket. Ma l’incendio non fu doloso: venne scatenato dal cortocircuito di un trasformatore surriscaldato. Il focolaio iniziale venne individuato vicino allo schermo. Guido Ceronetti scrisse su La Stampa: “L’ultimo bel cinematografo di Torino. Si respirava il decoro, si godeva il sontuoso. Tutto per poca lira”.
Dopo l’incidente, il rudere del Cinema Corso fu ricostruito, con un intervento guidato dall’architetto Pier Paolo Maggiora, e dal 1989 fu adibito ad ospitare uffici. Un recente intervento di restauro conservativo, riguardante le parti storiche sopravvissute, è stato realizzato tra 2014 e 2015 dalla società Emmequattro. Attualmente l’ex Cinema Corso ospita la Unipol Banca.
Strane corrispondenze
Ma qual è lo strano caso del Cinema Corso? Una curiosa coincidenza riguardante il primo e l’ultimo film proiettati. Quando il Cine Palazzo venne inaugurato nel 1927, alla serata di gala venne proiettato un famoso horror, Il fantasma dell’Opera di Rupert Julian (1925). Si trattava di un film muto, con l’accompagnamento musicale dal vivo dell’orchestra del Cine Palazzo diretta dal bergamasco Eugenio Tironi. Si racconta che, durante la serata, ci furono molti svenimenti di dame rimaste terrorizzate dalla maschera dell’attore Lon Chaney.
Quasi sessant’anni dopo, nel marzo 1980, il Cinema Corso aveva in cartellone The Amityville Horror (1979), un’altra pellicola dell’orrore che, per di più, parlava dell’incendio di una casa. Inoltre, l’architetto Bonadè Bottino morì nel marzo 1979, esattamente un anno prima della distruzione di uno dei suoi capolavori. Scherzi del destino.
E c’entra anche il Cimitero Monumentale!
Non ci crederete, ma in un certo senso la storia del Cinema Corso sfiora anche quella del Cimitero Monumentale. Infatti, l’edificio è stato costruito nell’area su cui si estendevano i giardini della Palazzina Lombardi. Quest’ultima era la residenza privata nientemeno che dell’architetto Gaetano Lombardi, il progettista del Campo Primitivo del Monu! La Palazzina Lombardi fu edificata nel 1825 su progetto dello stesso Lombardi e l’ingresso principale, con i giardini antistanti, dava su corso Vittorio. In seguito, la palazzina è stata rimaneggiata e oggi corrisponde ai civici 51-63 di via Carlo Alberto.
Chiudo questo articolo con una citazione tratta dal romanzo di Corrado Farina, che descrive in modo coinvolgente ciò che gli spettatori del cinema degli albori provavano ogni volta che si sedevano sulle poltrone di una platea o di una galleria. Chissà se oggi qualcuno riesce ancora a provare delle emozioni simili…
“Per un ragazzo di oggi, il mondo è ancora diverso: la tv gli porta in casa ogni giorno centinaia di film, e come se ciò non bastasse ci sono i videoregistratori, che gli consentono di vedere tutto quello che vuole in qualsiasi momento. L’offerta delle immagini è sterminata, e, come ci insegnano gli economisti, l’eccesso di offerta finisce con l’inflazionare il mercato. Il risultato è che ben pochi, ormai, possono ricordare, o anche solo capire, che cosa rappresentava il cinema 50 o 60 anni fa… Il cinema, allora, era la lampada di Aladino, in grado di esaudire qualsiasi desiderio. Andare al cinema significava uscire, non solo dalla propria casa ma dal proprio mondo: voleva dire acquistare un biglietto che permetteva di entrare in una dimensione parallela, in cui tutto poteva succedere: battersi con gli uomini più coraggiosi del mondo, amoreggiare con le donne più belle, vedere posti che non si potevano vedere in nessun modo. Oggi, qualsiasi impiegata di un’agenzia viaggi vi parla con disinvoltura di Hong-Kong, di Pechino e di Casablanca, e vi squaderna sul banco dei dépliants pieni di fotocolor, che banalizzano qualsiasi posto, togliendogli ogni mistero. Una volta, quei medesimi nomi bisognava andarseli a cercare con il batticuore sul mappamondo o sull’atlante geografico, come se fossero nomi mitici che esistevano solo nella fantasia: il cinema era l’unico mezzo per arrivarci, e tale era la sua forza di suggestione che non importava affatto che Hong-Kong fosse ricostruita all’interno di un teatro di posa, o che la Muraglia Cinese fosse un modellino su un fondale dipinto.”
Corrado Farina, Un posto al buio, 2000