6 luglio 2015
di Paolo Messerklinger
Incontro Manuela in un luminoso e soleggiato mercoledì mattino di giugno, davanti all’ingresso principale del più grande e storico cimitero di Torino. Perché questo è un po’ il suo “regno”. Infatti Manuela Vetrano, torinese, classe 1981, laureata in Scienze dei Beni Culturali e dal 2008 abilitata come guida turistica di Torino e provincia (professione che svolge tuttora), nel 2012 crea una pagina Facebook, che poi amplia in un blog, La Civetta di Torino, in cui indaga e illustra le curiosità funerarie legate al territorio e alla storia piemontese, e in particolare al Cimitero Monumentale… Fin dalle sue prime parole, mi rendo conto che Manuela è tutt’altro che una “civetta”, il suo modo di porsi è
serio, schivo, niente affatto “civettuolo”…
Manuela: “Devo subito dirti che, se ti ho proposto di rispondere per iscritto alle tue domande, non è per fare la preziosa, ma perché credo di riuscire a comunicare meglio i miei pensieri scrivendo, proprio come faccio nel mio blog. Mi concentro, posso riflettere con calma e cercare le parole più adatte per esprimermi, senza preoccuparmi dell’ansia o delle aspettative del pubblico. Accompagnando i turisti in visita a Torino, a volte ho l’impressione che quello che racconto non li soddisfi fino in fondo… spesso mi richiedono le leggende sulla Torino magica ed esoterica, ma io non me la sento di raccontare loro supposizioni, mi sento responsabile di quello che dico, che per me deve avere un
fondamento di verità “certificata”. Altrimenti cessa lo scopo, almeno il mio…”
P.: “Capisco bene quello che dici. E’ un po’ come a teatro, devi recitare un personaggio in modo brillante e assecondare i desideri del pubblico. Però ricordo ancora una visita all’Acropoli quando avevo dodici anni. Avevamo una guida che, mentre raccontava, sgranava di continuo una specie di collana di palline di legno, forse un rosario ortodosso. Con una voce profonda che sembrava arrivare da secoli prima, ci fece entrare così in profondità nello spirito del luogo, che alla fine nessuno fiatava e nessuno voleva andare via. Forse fu
lì che decisi di iscrivermi al liceo classico. E tu invece, come hai scoperto questa tua insolita passione?”
Manuela: “Vengo da una famiglia religiosa. Visitiamo spesso le nostre tombe. Quando ero piccola ogni settimana mia nonna mi prendeva per mano, mi diceva «Vieni, andiamo a trovare il nonno» e andavamo al Cimitero di Sassi. Per me era un luogo incantato, silenzioso, dove la mia immaginazione correva libera. Poi un giorno avevo dato appuntamento a una persona proprio qui davanti al Monumentale. La persona era in ritardo e allora varcai il cancello e iniziai a passeggiare. Mi trovai di fronte a una statua bianca, probabilmente una madonna, quasi ricoperta dall’edera, che vegliava una tomba. La sua bellezza, la sua perfezione e candore suscitarono in me una profonda impressione. Così presi l’abitudine di venire a passeggiare qui. E non c’era volta che non scoprissi strani oggetti, simboli e decorazioni che ornavano le tombe. Perché erano li? Per caso? Chi li aveva voluti e qual era il loro significato? Ero in presenza di un linguaggio, di un racconto: erano i morti che mi raccontavano le loro storie, le loro passioni, il loro mestiere, le cose a cui avevano tenuto di più! Era la storia della mia città, di un’altra Torino, che ci aveva preceduti. Decisi che avrei indagato il mistero di questo linguaggio per raccontare anche ad altri le storie di questa Città del Silenzio. Così ho cominciato la ricerca tra archivi, biblioteche, fondazioni private, anche con l’aiuto di altre persone, esperti in statuaria, storia del costume, ecc. Torno spesso qui, da sola. E ogni volta scopro qualcosa di nuovo. Sai, piuttosto che andare a passeggiare il sabato in via Po o via Roma, tra la confusione della gente, dei negozi, del traffico, a volte io preferisco venire a passeggiare qui! Prima ti parlavo di responsabilità: a parte e oltre quella verso i visitatori, intendevo quella verso gli ospiti del cimitero, nel senso di rimanere il più possibile aderente ai fatti e alla verità storica delle loro esistenze e delle loro personalità. E’ anche una forma di rispetto nei loro confronti”.
Intanto ci siamo incamminati a sinistra, verso la parte storica del cimitero, dove non avvengono più sepolture, tranne per chi già possiede una cappella o una tomba di famiglia. La tranquillità è assoluta, non si vede anima viva. La disposizione architettonica del cimitero assomiglia a quella romana della città: grandi isole quadrate simili a piazze, con vialetti interni e portici lungo i muri perimetrali esterni. In un angolo, ci
fermiamo davanti a una scena imponente. Davanti a me ho la statua a grandezza naturale di un distinto signore, vestito con la ricercata eleganza della ricca borghesia dell’800 sabaudo.
Manuela: “Questo è uno dei monumenti funebri più famosi di tutto il Cimitero Monumentale di Torino: la Tomba dij Rat (la tomba
dei topi). E’ la tomba di Giuseppe Pongilione, un ingegnere ferroviario nato ad Albissola nel 1824 e morto nel 1900. La tomba se l’era progettata lui, quand’era in vita, assegnandone la realizzazione a un famoso scultore dell’epoca, Lorenzo Vergnano. La sua figura, al centro, divide la scena in due parti: a destra momenti di vita quotidiana dell’epoca, a sinistra il regno della morte. Vedi lì in basso, sotto al sarcofago,
quei topi che danno il nome alla tomba? Sono il simbolo delle tenebre. In mano Pongilione tiene lo scrigno dei ricordi, e quella farfalla (Psiche in greco) è il simbolo della metamorfosi, del passaggio tra un regno e l’altro. Dietro a lui, in alto, ha fatto scolpire il treno e la ferrovia, a ricordo del suo lavoro”.
Mentre ascolto, non riesco a staccare gli occhi dai pantaloni dell’ingegnere: di velluto, a coste strette, magistralmente scolpiti, tanto da sembrare stirati e appena indossati. Ci incamminiamo nuovamente sotto al porticato. Sono segretamente combattuto dal perdermi dietro allo sguardo, catturato dal fascino del luogo, e l’attenzione a non perdere nemmeno una parola di quello che Manuela mi dice, non avendo alcun registratore acceso…
Il primo insediamento del Monumentale, il “Campo Primitivo”, risale al 1829 in seguito a una donazione di 300.000 lire alla Città di Torino da parte di Tancredi Falletti di Barolo, sindaco della città. In seguito, il cimitero si è ingrandito notevolmente e vi riposano oltre 400.000 defunti.
P.: “Tra i percorsi tematici che proponi, qual è il più “gettonato” e quale quello a cui sei più affezionata?
Manuela: “Direi che la visita generale, per intenderci quella che sto facendo con te, è senz’altro la prima da fare se non hai mai visitato il cimitero. Le persone che prima non conoscevano questo museo a cielo aperto, di solito rimangono così affascinate che poi vogliono approfondirne la scoperta seguendo anche gli itinerari tematici. Per quanto mi riguarda, forse il percorso che sento più mio è “Memorie di Donne”. Qui ci sono sepolte figure eccezionali, che proprio in quanto donne la società dell’epoca tendeva a tenere in minor
conto. (Manuela mi lancia un sorriso d’intesa che non ha bisogno di ulteriori commenti)”.
Ci soffermiamo davanti a due splendide sculture: una dama velata con un calice in mano, simbolo della Fede, e l’“Angelo della Morte”, che sta a guardia di una culla vuota, opera del 1882 dell’insigne Leonardo Bistolfi, di Casale Monferrato. Sotto a folte sopracciglia, gli occhi infossati dell’angelo maestoso che troneggia sopra di me fissano il vuoto in lontananza, a penetrare un mistero che a noi umani non è dato contemplare.
“Ho appurato” continua Manuela, “che molte delle persone sepolte al Monumentale, esponenti della buona società torinese, si conoscevano e si frequentavano e ora sono uno accanto all’altro, vicini, qui, in questa Torino parallela come lo erano stati nella Torino che oggi è vissuta da noi. Ad esempio, la tomba di Massimo d’Azeglio è vicina a quella del suo caro amico Giacinto Provana di Collegno; la tomba di Silvio Pellico è a pochi passi da quella della donna che amò in gioventù: l’attrice Teresa Bartolozzi Marchionni…”
D’un tratto un’immagine attira la mia attenzione: al disopra di una colonna, sul basamento di un mezzobusto maschile, sono scolpite ad altorilievo una caffettiera e un servizio da caffè bianchi.
“Ecco, vedi”, continua la mia guida, “quando ti parlavo di simboli bizzarri e di curiosi messaggi? Perché quest’uomo, Giuseppe Gentil (morto nel 1888), ha voluto sulla sua tomba questi oggetti di uso quotidiano? L’ho scoperto leggendo un articolo biografico a lui dedicato sulla Gazzetta Piemontese. Era un Savoiardo che venne a lavorare in un caffè di via Garibaldi. Poi comprò il caffè Alfieri, in via Po, che era dove ora si trova la libreria La Bussola. Era un caffè frequentato da molti dei personaggi del Risorgimento italiano; Garibaldi vi reclutò il primo nucleo di volontari del suo gruppo, “i Cacciatori delle Alpi”. Gentil ha voluto vicino a sé gli oggetti che gli diedero la ricchezza”.
Mentre ci spostiamo in un altro settore del cimitero, vedo un uomo magro venire in bicicletta lungo il viale, nella nostra direzione. Ha i pantaloni corti e in testa uno strambo cappello militare, non sembra far caso a noi né a null’altro. Si dirige verso un’imponente tomba a baldacchino, sotto al quale, sdraiata, riposa immobile una giovane donna graziosa. Lui posa la bicicletta e si dirige deciso verso la dormiente, si china e la bacia sulla fronte. Poi altrettanto svelto risale in bicicletta e se ne va. Istintivamente rivolgo uno sguardo interrogativo a Manuela…
“Sì, ho visto”, mi dice lei, “Quella è Teresa Sineo Denina, detta ‘La Sposa Bambina’, morta a 28 anni nel 1883. Non so bene il motivo del gesto di quell’uomo, forse porta fortuna…”
Mi avvicino anch’io al volto della sposa, e noto che al centro della fronte la superficie del marmo è più bianca e leggermente incava. Mi
vengono in mente altri tributi d’amore, ben più lascivi, per cui son famosi alcuni particolari anatomici di statue al Père-Lachaise di Parigi…
Do un’occhiata veloce al busto di Bernardino Drovetti – il console francese in Egitto alla cui passione per le antichità si deve il primo fondo di reperti da cui prese avvio la collezione del Museo Egizio di Torino, seconda nel mondo per importanza solo a quella de Il Cairo – e mi colpisce la sua disadorna semplicità e l’ubicazione, quasi nascosta in una nicchia sotto un portico di passaggio.
Poi ci fermiamo davanti alla tomba di Annie Vivanti (1868 – 1942). Scolpiti sulla lapide si leggono questi romantici versi:
Batto a la chiusa imposta
con un ramicello
di fiori
glauchi ed azzurri
come i tuoi occhi
O Annie
(G. Carducci)
Manuela mi spiega il motivo della presenza di questo epitaffio a firma tanto celebre: “Annie Vivanti è una delle figure più interessanti di tutto il Monumentale, una donna libera e anticonformista, molto emancipata per i suoi tempi. Poetessa e romanziera di grande talento, nasce in Inghilterra dall’unione tra un patriota italiano esule, Anselmo, e una scrittrice tedesca, Anna Lindau. Venuta a vivere in Italia, cerca un editore per la sua raccolta di liriche. Gli amici le consigliano il più autorevole e noto del tempo, l’editore Treves, il quale, pur apprezzando i suoi versi, le spiega che per pubblicarli c’è bisogno di una prefazione a firma illustre, e che potrebbe provare a chiedere al Carducci. Lei lo fa e il Sommo Poeta resta folgorato dalla personalità e dalla persona di Annie. In sostanza se ne innamora. Annie lo chiama affettuosamente “Caro Orso”. Non dimentica del sangue paterno, Annie sposa un patriota irlandese da cui ha una figlia, Vivien, violinista prodigio, che
morirà suicida. Una vita molto intensa, scandita da passioni e dolori altrettanto intensi”.
Chiedo a Manuela: “Come reagiscono i tuoi clienti al contatto con cimiteri, tombe, cripte, reliquie, simboli e temi macabri? Il tema della morte viene mai fuori nei commenti o nei dialoghi con te? Dal tuo punto di osservazione, che rapporto ha la gente con la morte in generale, e con la propria?
Manuela: “Paradossalmente durante le visite alle tombe del Cimitero Monumentale non mi è mai capitato di discutere con i partecipanti di questo argomento. Credo che molto dipenda dal modo in cui la “passeggiata”, come la chiamo io, viene impostata. Io uso la tomba come punto di partenza per parlare della vita del personaggio e non della sua morte. E cerco di individuare quelle curiosità che permettono di collegarlo alla storia della città e che lo fanno così rivivere. In generale credo che la maggior parte delle persone non ami pensare alla morte, dato che mette in contatto con sentimenti come la tristezza e il dolore. I cimiteri sono considerati principalmente luoghi di cordoglio, soprattutto qui da noi in Italia, mentre nel Nord Europa non è affatto così. Mi capita spesso di ricevere battute ironiche quando questo mio interesse viene scoperto da qualcuno, ma per me il cimitero è anche un luogo d’arte e di storia e il mio obiettivo è valorizzarlo da questo punto di vista.”
P. “E il tuo? Pensi mai alla tua morte? La temi? E che tipo di sepoltura vorresti?”
Manuela: “Come ti ho detto, vengo da una famiglia religiosa, ma io non sono praticante né ho credi particolari. E non mi capita spesso di pensare alla morte, neanche quando giro per il Monumentale”. Mi sorride, “E poi, in fondo, quando io sarò morta decideranno gli altri sulla cerimonia e tutto il resto. Soltanto vorrei essere sepolta in una tomba, che ci sia un luogo dove sia possibile venire a ricordarmi. In fondo è quello che faccio io: se non ci fossero queste tombe, questi monumenti, queste opere d’arte, la memoria delle persone sparirebbe e con essa parte della storia di un popolo, di una società”.
Pochi passi e l’ombra tragica e triste del suicidio torna a impossessarsi dei miei pensieri. Davanti a me la statua di un giovane bello, magro ed elegante, vestito di nero, con uno sguardo malinconico che accentua il pallore dei suoi lineamenti sottili. Sta al centro della tomba di famiglia, non una famiglia qualsiasi: De Amicis. A destra e appena dietro a lui si vede la lapide del padre Edmondo, il famoso autore del libro
“Cuore”, lettura quasi obbligata nelle scuole medie italiane sino al 1968.
Manuela mi racconta che Furio De Amicis era un giovane sensibile, dedito alla poesia e ai versi, che sottoponeva per primo al padre. Ma Edmondo non lo aiutò mai, anzi ne osteggiò in ogni modo il desiderio di diventare scrittore, come lui. Furio si tolse la vita a vent’anni. In seguito a quella tragedia, la famiglia andò in pezzi, il padre e la moglie si separarono e lei raccontò più volte la storia privata di un padre
insensibile, di un uomo crudele e violento. Non fu però mai creduta; si prestò piuttosto fede ai terribili ritratti che il marito faceva di lei.
“Però”, penso mentre fisso lo sguardo assente di Furio, “Ecco il lato oscuro di quell’uomo tutto cuore, sensibilità e melenso sentimentalismo… Ha usato la tomba del figlio per rappresentare il rimorso e chissà, forse il pentimento, mettendosi alla fine in secondo piano.”
In mezzo a questa sezione troneggia, alto 40 metri, l’imponente monumento fatto erigere dalla figlia amatissima in memoria del padre, il famoso tenore Francesco Tamagno, noto anche per la sua avarizia. Aveva riservato tutto il suo amore e i suoi averi a lei, evidentemente.
Noi però ci rechiamo alla tomba che ricorda la tragedia del Grande Torino, dove vi sono le spoglie di molti dei giocatori periti nel tragico schianto del 4 maggio 1949 contro la Basilica di Superga. Leggo i loro nomi e uno mi fa trasalire: Meroni Pier Luigi, membro dell’equipaggio. Una coincidenza macabra e quantomeno strana. Perché un altro grande e amatissimo giocatore del Torino, Luigi Meroni, fu investito da un’auto in Corso Re Umberto e morì per le conseguenze dell’incidente, la sera del 15 ottobre 1967, quindi poco più di
diciotto anni dopo.
Decidiamo di avviarci verso l’uscita per un meritato caffè. E’ arrivato il momento di un’ultima domanda a Manuela, che ci ‘riporti’ alla vita.
P. “I tuoi progetti per il futuro?”
Manuela: “Come ti dicevo, mi piace scrivere, mi trovo più a mio agio che non a parlare. Prima o poi mi piacerebbe riuscire a pubblicare un libro sul Monumentale e le sue storie e scrivere testi divulgativi sulla storia e sui personaggi di Torino e del Piemonte. Ma so che è molto difficile trovare un editore, per cui cercherò il modo di autoeditarmi”.
La incoraggio in tal senso, perché Manuela scrive davvero molto bene. E vi basta andare a leggere uno qualunque dei suoi articoli (tra quelli recenti, vi segnalo quello sul simbolo della Melagrana) per rendervi conto che Manuela ha una scrittura brillante, leggera e accattivante, e ciò che scrive non è mai banale o copiato su Wikipedia. In tal senso lancio un appello al Comune di Torino: visto che siamo diventati da città
operaia città delle arti, della comunicazione e del turismo, perché non commissionare a Manuela Vetrano un bel volumetto sul Cimitero Monumentale, di cui coprire le spese in cambio di 1000 copie iniziali, da distribuire o vendere al turismo culturale che frequenta la nostra bella città?
Grazie Manuela, e in bocca al lupo per il tuo impegno, il tuo lavoro e la tua creatività!
PS: Purtroppo il sito LifeOnoranzeFunebri.com è stato chiuso
PPS: Alla fine il libro l’ho scritto, Torino silenziosa, senza l’aiuto del Comune di Torino, ma grazie all’Editrice Il Punto-Piemonte in Bancarella.
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