Nella fresca Cripta Reale di Superga che ospita il mausoleo di Casa Savoia, si trova una piccola stanza chiamata Sala degli Infanti. Qui, una volta, le pesanti lapidi di marmo si chiudevano sulle spoglie dei principini sabaudi morti troppo presto. Con il passare degli anni, la sala venne usata per accogliere anche le tombe dei membri adulti della dinastia. E’ proprio nella Sala degli Infanti che riposa lei, Maria Anna Vittoria di Savoia-Soissons, la protagonista di questo racconto. La sua tomba, in marmo con l’iscrizione dorata, è simile a tutte le altre, perciò osservandola non ci comunica molto e forse potremmo anche non notarla. Eppure la storia della sua “abitante” è assai curiosa e forse po’ triste. Vale la pena ricordarla.
Mademoiselle de Soissons (così era chiamata) nacque a Parigi l’11 settembre 1683. Suo padre era Luigi Tommaso di Savoia-Carignano, secondo conte di Soissons (1657-1702), e sua madre era Uranie de la Cropte de Beauvais (1655-1717). La loro fu un’unione riuscita, che diede come frutti sei figli. Vittoria era la primogenita. Anche se nobile, la famiglia non se la passava troppo bene… la nonna paterna Olimpia Mancini (1638-1708), intrigante nipote del cardinale Mazzarino nonché amante del Re Sole, era stata esiliata dalla corte francese perché coinvolta nel torbidissimo Affare dei Veleni. Per questo grave episodio, Luigi XIV non accolse nell’esercito lo zio paterno di Vittoria, il principe Eugenio di Savoia-Soissons (il quale diventò comunque, al servizio degli Asburgo e alla faccia di Luigi XIV, il più grande condottiero del suo tempo). Inoltre Uranie si rifiutò entrare nella schiera delle amanti reali, attirando la disgrazia definitiva sul marito, che fu privato dei suoi incarichi militari e delle rendite, e sui Savoia-Soissons, che già da tempo erano malvisti.
Ma torniamo a Vittoria. Che tipo era?
Bella? No. Non aveva ereditato le grazie della madre, definita dallo scrittore Saint-Simon “radiosa come il mattino glorioso”, né il fascino conturbante della nonna. Angelica Kottulinsky von Kottulin Lodron, sua dama di compagnia, ne fece un ritratto impietoso: “la sua figura era brutta, un gran naso lungo, una piccola bocca e una piccola fronte, vestita da vecchia francese della borghesia, con delle cuffie a quattro ciocche, con un piccolo guardinfante rotondo e degli abiti molto semplici all’antica”.
Il suo fisico faceva sognare? No. Non era una silfide: “pareva che tutta la salute fisica della famiglia, scarsa per i fratelli, si fosse concentrata sul suo fisico prosperoso” (Gribaudi Rossi).
Era forse bella dentro? Nemmeno. A quanto pare il suo carattere era terribile: “possedeva il cervello bizzarro e bizzoso tipico d’alcuni Carignano” (Oppenheimer).
Tutte queste caratteristiche sono riassunte nell’inquietante busto in cera che la ritrae senza abbellimenti né ritocchini di sorta. Eseguito dal ceroplasta biellese Francesco Orso nel 1780 circa, dopo la morte di Vittoria, è conservato nel Castello di Aglié e terrorizza gli ignari visitatori che all’improvviso si trovano faccia a faccia con lui.
Senza beltà né grazia, senza ingegno né dolcezza, Vittoria trascorse una vita incolore e anonima soggiornando a Parigi, Chambéry, Vienna e Torino. Ma anche per lei arrivò il giorno della svolta. Il 21 aprile 1736 morì suo zio. Il principe Eugenio di Savoia-Soissons (1663-1736) non si sposò mai e non ebbe figli. I suoi fratelli morirono tutti prima di lui, così come il suo amato pronipote e successore Eugenio Giovanni Francesco. Il Gran Capitano, com’era soprannominato, non redasse alcun testamento. L’unica erede rimasta in vita era la cinquantunenne Vittoria, che si trovò per le mani un immenso patrimonio mai visto prima: denaro a cascate, castelli, libri, tesori d’arte… La ricchezza le diede subito alla testa: iniziò a sperperare senza freni, disperdendo tutto ciò che lo zio aveva raccolto nel corso della vita (per fortuna la sua quadreria fu comprata nel 1741 dal re Carlo Emanuele III ed è oggi alla Galleria Sabauda). Tanto era criticata Vittoria per questo comportamento scellerato, che all’epoca si diffuse questo distico: “E’ mai possibile che del principe Eugenio la gloria sia offuscata da tal villana Vittoria?”. Ma a lei non importava nulla. Si trovò anche un pretendente, che molto romanticamente accettò di sposarla in cambio di 300.000 fiorini e di alcuni possedimenti…
il 17 aprile 1738, a Parigi, Vittoria convolò a nozze con il principe Giuseppe Maria Federico Guglielmo di Sassonia-Hildburghausen (1702-1786), di vent’anni più giovane. L’idillio durò pochissimo, i due si separarono nel 1744 e nel 1752 Vittoria si stabilì definitivamente a Torino, ma ormai poteva dire di aver goduto anche lei delle gioie matrimoniali.
A Torino Vittoria abitò vicino alla Chiesa di San Filippo Neri e lì volle essere sepolta dopo la morte avvenuta per un colpo apoplettico l’11 ottobre 1763. Dopo i funerali, il 21 ottobre, fu tumulata nella cripta della chiesa. Solo nel 1921, per volontà del re Vittorio Emanuele III, fu traslata a Superga.
Vittoria lasciò quello che restava della sua mitica eredità (2 milioni di £) al nipote Benedetto Maria Maurizio, duca del Chiablese. Forse fu lui a commissionare il busto in cera a Francesco Orso e a posizionarlo nel Castello di Aglié, che aveva ricevuto in dono dal padre nel 1764. Ed è questo terrificante busto che ci ricorda, insieme alla tomba di Superga, la vicenda di questa donna del Settecento. Mai amata veramente, grazie ai soldi si creò una felicità effimera e illusoria, che forse alla fine le lasciò l’amaro in bocca… almeno così sembra se fissiamo lo sguardo sconcertato con cui ci osserva ad Aglié il suo simulacro in cera.
(Un grazie per l’immagine della tomba di Vittoria a Sara Boido)